Il concetto di "etero-organizzazione" nella nuova disciplina delle collaborazioni e l'importanza strategica dell'istituto della certificazione

Anno 3 Nr. 3 - FOGLIO TECNICO del 06/04/2016

La domanda che si sono posti gli operatori del mondo del lavoro a partire dal 1° gennaio di quest’anno è stata: qual è il destino delle collaborazioni coordinate e continuative? La risposta più naturale è stata: dato che l’art. 409 c.p.c. non è stato abrogato (anzi, ne è stata espressamente ribadita – a scanso di equivoci – la sua vigenza), si ritiene salva la possibilità di sottoscrivere ancora oggi contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Infatti, con l’abrogazione delle collaborazioni a progetto sono state abrogate norme e divieti nati per contrastare gli abusi di tale strumento contrattuale ma resta “in vita” il contratto di collaborazione coordinata e continuativa privo degli obblighi connessi al progetto. Tale contratto potrà quindi essere stipulato senza la necessità di definire un progetto, libero da qualsiasi vincolo di durata, svincolato dall’obbligo di raggiungimento di un risultato e da criteri legali per la determinazione del compenso.
Però all’occhio attento dell’operatore qualificato non è sfuggito il fatto che non c’è nessuna possibilità di affermare che le collaborazioni siano tornate alla loro vecchia disciplina: non a caso l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Quindi: da un lato viene rimossa la disciplina del lavoro a progetto, complessa e generatrice di incertezze interpretative (ma su questo punto non tutti i commentatori concordano), dall’altro si fanno “scivolare” nel campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato tutti i rapporti di collaborazione caratterizzati congiuntamente dai tre requisiti previsti normativamente (prestazione esclusivamente personale, continuatività ed etero – organizzazione con riferimento a tempi e luogo della prestazione).
Ma in cosa consiste questa “estensione” della disciplina del lavoro subordinato? Non specificando molto la legge, ci affidiamo alla circolare ministeriale: possiamo allora ritenere (seguendo l’interpretazione proposta dal Ministero) che la legge abbia voluto estendere, a questi “anomali” rapporti di lavoro autonomo, l’intera disciplina del lavoro subordinato, senza eccezioni.

Quindi:
• tutta la disciplina civilistica del rapporto di lavoro (retribuzione, TFR, straordinari, ferie, ROL e simili);
• tutta la disciplina contributiva ed assicurativa;
• tutta la disciplina amministrativa (UNILAV ad esempio).

Ma v’è di più.
Infatti, la circolare non cita (pensiamo in modo consapevole) un profilo della “riconduzione alla subordinazione” che ci consente una lettura ulteriore. Partiamo da questa domanda: che senso avrebbe il mantenimento della formale qualificazione in termini di lavoro autonomo a fronte di una integrale applicazione della disciplina tipica del lavoro di natura subordinata? Un senso logico e giuridico può averlo solo se si cambia ottica vale a dire se si legge la disposizione tenendo di mira il sistema generale del mercato del lavoro. Ne deriva un importante chiave applicativa: il rapporto di lavoro “ricondotto sotto le tutele della subordinazione” resta di natura autonoma quando si verte in ambito di sistema e non di normativa sul rapporto di lavoro.

Chiarisco meglio.
Quando si parla di base di computo aziendale per la definizione della soglia occupazionale - in tutti i casi in cui leggi e/o CCNL vi ricollegano l’applicazione di determinate discipline (collocamento disabili, disciplina del licenziamento) - il rapporto di lavoro “ricondotto sotto le tutele della subordinazione” resta di natura autonoma e non rientra nei limiti di computo dei subordinati, in quanto solo la natura del contratto ne determina o meno l’inclusione mentre non rileva quale sia la disciplina applicata al rapporto di lavoro. La norma sul computo della soglia occupazionale non è una norma sul “rapporto di lavoro subordinato” bensì una “norma di sistema”, diciamo una norma sulla regolazione del “mercato del lavoro”: è plausibile che ad essa resti perciò estranea la disciplina del rapporto di lavoro. Allo stesso modo, allora, non dovrebbero essere applicabili limiti massimi di proroga o di successioni di contratti a quei rapporti di co.co.co. a termine che siano stati «vittima» della riconduzione alla subordinazione.
Ma quali caratteristiche devono avere le co.co.co. per non essere attratte nel campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato? Ricordiamo che si applica la disciplina del lavoro subordinato se la prestazione del collaboratore è caratterizzata congiuntamente dalle tre seguenti caratteristiche:
• essere continuativa
• essere esclusivamente personale
• si svolge con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (caratteristica sinteticamente definita etero-organizzazione).

Vediamoli.
Continuatività – È da intendersi quale durata in senso tecnico che si realizza quando la prestazione è volta a soddisfare un interesse continuativo del committente. Quindi sono escluse dall’ambito applicativo dell’art. 2 le collaborazioni occasionali aventi ad oggetto un singolo servizio o prodotto. Ed in tal senso è «non continuativa» la collaborazione avente ad oggetto più incarichi seppur collocati in ambito temporale prolungato se ed in quanto le parti abbiano inteso accordarsi non sulla disponibilità continuativa della professionalità del collaboratore ma bensì sul singolo opus.

Personalità – Il carattere della personalità è declinato diversamente nella nuova disciplina (rispetto all’art. 409 c.p.c.) in quanto è presa in considerazione solo la collaborazione “esclusivamente personale”. Pertanto, quando il collaboratore si avvalga di altro personale la collaborazione resta esclusa dall’alveo di applicazione dell’art.2.

Etero-organizzazione – E’ il requisito più importante, visto che rispetto agli altri due, precedentemente esaminati, è senza dubbio quello che farà pendere l’ago della bilancia verso l’applicabilità o meno dell’art. 2. Per comprenderne in pieno la natura e le caratteristiche è opportuno analizzarlo anche in confronto con il terzo requisito previsto dall’art. 409 c.p.c., vale a dire con il coordinamento. Un’attività di lavoro autonomo è coordinata quando la prestazione resa dal collaboratore viene utilmente e funzionalmente integrata nell’organizzazione d’impresa del committente. Il coordinamento, quindi, presuppone comunque un’autonomia del collaboratore e, soprattutto, una scelta consensuale delle due parti cioè un accordo sulle modalità esecutive: le parti “si coordinano" tra di loro per rendere funzionalmente utile all’impresa la stessa prestazione dedotta in contratto. Quando il coordinamento è così intenso però da sfociare in una organizzazione unilaterale della prestazione sotto il profilo dei tempi e del luogo allora la collaborazione perde parte del suo carattere autonomo (non è più coordinata dal committente ma etero-organizzata) e così “scivola" nella piena applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
Quindi, nella distinzione tra coordinamento ed etero-organizzazione non rileva se luoghi e tempi della prestazione siano fissi ed afferiscano principalmente ad esigenze aziendali (per es. locali aziendali o orari di apertura della sede aziendale) bensì ciò che rileva è invece che la consensualità nella scelta delle modalità esecutive sia concretamente apprezzabile, sia oggettivamente e funzionalmente verosimile. In sostanza, considerato che in concreto solo uno dei tre requisiti è davvero significativo ai fini della qualificazione, restano genuine le collaborazioni caratterizzate dall’assenza dell’etero organizzazione esercitata da parte del committente: il collaboratore deve poter svolgere la propria prestazione decidendo in accordo con il committente le modalità della sua prestazione di lavoro che deve essere funzionalmente integrabile all’interno dell’organizzazione d’impresa del committente senza vincoli di tempo e di luogo. Ed in tal senso, allora, a prescindere dall’abrogazione dell’obbligo di progetto ancora oggi è comunque opportuno, ancora oggi, individuare un risultato definito e oggettivo della collaborazione, al fine di rafforzarne la natura autonoma ed evitare che la prestazione del collaboratore finisca nella etero-organizzazione del committente.

Dott. Andrea Rapacciuolo - Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche del Centro Ricerche e Studi dei Laghi e Ispettore presso Ispettorato Interregionale del Lavoro di Milano


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